martedì 26 giugno 2012

Soft Rock per zio Tom

Sono americani, e, si sa, hanno un modo di fare cinema tutto loro. Rock of Ages non è un gran film: ha evidenti falle nella sceneggiatura, è troppo lungo e soprattutto rischia di passare praticamente inosservato a ben precise fasce di pubblico. Però, diamine, è una delle pellicole più coinvolgenti e rilassanti degli ultimi anni. Diretta con straordinaria sicurezza da Adam Shankman, ex coreografo che chi scrive non ha mai apprezzato particolarmente (eccezion fatta per un altro musical da lui girato, quell' Hairspray che avrebbe dovuto rilanciare la carriera di John Travolta), Rock of Ages è l'adattamento cinematografico di un musical di successo, ambientato nella Los Angeles del 1987: la giovane Sherrie si reca con una valigia di dischi e sogni nella malsana città degli Angeli e incontra l'imberbe Drew, cameriere al Bourbon Room ed aspirante star musicale. Attorno a loro c'è un bizzarro mondo di canzoni glam rock degli anni Ottanta che vengono inserite nella trama: pezzi dei Def Leppard, dei Poison, dei Twisted Sister, di Bon Jovi, e chi più ne ha più ne metta. Non ci sono stacchi intellettuali: i brani partono da un momento all'altro, tra una battuta scontata e una gag da supermercato che però, ci piaccia o no, diverte. I due pupi, interpretati dalla splendida Julianne Hough e dal rubicondo Diego Boneta (praticamente due esordienti assoluti), sembrano due scolaretti in gita premio. Ed è l'intento del regista renderli ingenui e del tutto vittime consapevolissime del gioco di tortura del rock in scena losangelina di quel periodo. L'epoca delle groupie, di Axl Rose, della cocaina, di un para-universo di scotch, sudore e sigarette lontano – ma non troppo - dai mostri generati dalle paure degli anni Novanta. Cantando e ballando, i due giovinetti sono sovrastati dalla presenza carnale del rocker Stacey Jaxx, leader indiscutibilmente carismatico di un gruppo in procinto di scioglimento, gli Arsenal.
 Ed è qui che entra in gioco l'asso nella manica del film: Tom Cruise. Cruise ha cinquant'anni ma ne dimostra trentasei, è tonico, si arrampica sulle impalcature e canta superlativamente, dando al suo personaggio quello spessore inattaccabile posizionato a metà tra la buffonaggine e l'assoluta consapevolezza del proprio titanismo. Già dal suo ingresso in scena si capisce molto: lui le donne le distrugge, le manipola, le capisce e le allontana; si mangia il palco e cammina come farebbe Achille se decidesse di darsi al rock. Scardinare il trionfale vigore sessuale di Stacey Jaxx è la missione di Patricia Whitmore, first lady (è la moglie del sindaco) in cerca di vendetta: da ragazza è stata tra le vittime sciupate dal divo. E ha deciso di far chiudere il Bourbon Club, dove Stacey si esibirà in concerto. E a darle volto e carne è l'altra grande presenza del film, Catherine Zeta-Jones: di pastello vestita, sembra uscita da un film di John Waters. Grintosa e indiavolata come ai tempi di Chicago, si guadagna il numero migliore del film: all'interno di una chiesa canta e balla sulle note di Hit me with your best shot (inno sessuale di Pat Benatar), sfidando l'icona di Stacey Jaxx crocifissa su un muro e imponendo la rabbia e il suo desiderio di rivalsa sul mondo di musica detestabile che la circonda. La tensione tra i due è palpabile durante le due ore di film: si incontreranno sul finale, dentro un'unica, breve sequenza. Cruise e Zeta-Jones, volti emblema degli anni Novanta, divertiti, nvecchiati e ancora possenti in un film sugli Ottanta: sì, questo è il bello del cinema. 
A completare tutto, un cast di supporto eccellente: Alec Baldwin, Russel Brand (rispettivamente proprietario e capo-cameriere del Bourbon), la bravissima Mary J. Blige, Bryan Cranston, Paul Giamatti che recita come se avesse a che fare con Shakespeare e Malin Akerman, che Shankman inquadra con morbosa ossessione: è bellissima e dolente, sesso e castità, indiscrezione e timidezza: quando canta I want to know what love is (meraviglioso pezzo dei Foreigner), numero che Shankman filma con impressionante consapevolezza delle proprie abilità, riesce a generare sentimenti di intimità, sfrenata sessualità e al contempo goffaggine. Rock of Ages è una gradevole baracconata: e non è da tutti rendere dignitose le baracconate, gestendo bene i ritmi, i tempi comici, il divertimento degli attori nel concedersi a contesti di assoluto patetismo istrionico. È questo il caso. Sono americani, e sanno divertirci (e divertirsi) con poco.


Giuseppe Paternò di Raddusa


                                                        "Rock of Ages"- Trailer

Nessun commento:

Posta un commento